La biografia di Giorgia Meloni e la libertà delle scelte
Nei giorni in cui abitiamo, capita alle volte di dover ribadire l’ovvio.
Roma, quartiere periferico. Una appassionata lettrice decide di aprire una libreria nel mezzo del nulla culturale, in un’area popolata da palazzoni dove si educano le persone a frequentare centri commerciali, a perdersi in luoghi che sono lì, ma potrebbero essere altrove.
Questa libraia, animatrice culturale, politicamente schierata, decide di non vendere l’autobiografia di Giorgia Meloni. Manifesta questa sua intenzione con un post su Facebook, che ha un’improvvisa, e probabilmente non voluta, eco mediatica.
Ne iniziano a parlare i giornali; i militanti di Fratelli d’Italia decidono di organizzare la distribuzione gratuita dell’autobiografia davanti a una scuola del quartiere (ironicamente, verrebbe da pensare che sono spesso i più giovani a pagare il prezzo più alto); alcuni esponenti del PD annunciano pubblicamente la propria solidarietà all’on. Meloni.
Solidarietà per cosa, vi starete forse domandando.
La risposta è facile. Censura.
Sì, avete letto bene, censura.
Si dice che le parole, a furia di ripeterle, perdano il loro valore semantico. Per essere più semplici, dimentichiamo il significato delle parole quando le parole diventano litanie.
La persona protagonista di questa vicenda è un’imprenditrice. Ha aperto una libreria e la libreria è sua. Può scegliere, come qualsiasi libreria, quali libri vendere e quali no.
La censura non c’entra nulla, siamo nel campo della libertà di impresa. Un negozio di abbigliamento può scegliere se vendere una camicia o una gonna. Lo stesso vale se, al posto delle camicie e delle gonne, ci mettiamo i libri. Forse vale ancora di più, perché è sacrosanto che una persona che partecipa al dibattito culturale faccia delle scelte, è un suo dovere civico.
I più obliqui, in un’Italia forcaiola e rancorosa, sono poi quelli che hanno accusato la nostra libraia di aver beneficiato di fondi pubblici e di organizzare solo “cose di sinistra”.
Questi signori, forse confusi, più probabilmente in mala fede, ignorano che i teatri sovvenzionati non hanno l’obbligo di rappresentare sia Brecht che Barbareschi nella stessa stagione (mi perdonerete, e mi perdonerà Brecht per l’accostamento, ma non mi sovviene un autore di teatro di destra); le radio non devono passare Victor Jara e Faccetta Nera nello stesso palinsesto.
L’articolo 21 della Costituzione afferma la libertà di manifestare il proprio pensiero, non l’obbligo di veicolare quello altrui; l’articolo 41 sancisce la libertà di impresa e di scegliere di non vendere un libro, sebbene dalla sua vendita potrei ottenerne un aumento di fatturato.
Qualche tempo fa, in tanti assegnarono, alla nostra Costituzione, il titolo di “più bella del mondo”, neanche si fosse in un concorso di miss. Credo che in tanti, in troppi, dovrebbero rileggere quella bella Costituzione, perché è un testo che parla (anche) della libertà e della responsabilità di fare delle scelte.