La Newsletter dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione – 14 aprile 2019
La lezione di Internet Archive
Siamo abituati, purtroppo, a affrontare certe questioni sistematicamente in condizioni di emergenza, quando il contingente è protagonista e quando le emozioni hanno la meglio sulla ragione.
Il caso del contrasto al terrorismo online, non si sottrae a questa regola e, anzi, ne è campione.
L’ovvia conseguenza è che in tutte le discussioni sulla regolamentazione della materia il principio del fine che giustifica i mezzi egemonizza il pensiero della più parte dei decisori pubblici in giro per il mondo perché, comprensibilmente, all’indomani di un attentato terroristico o di una strage di innocenti in nome di questo o quell’integralismo, tutto sembra giustificato pur di non trovarsi ancora a confrontarsi con certe disumane tragedie.
Gli argomenti di chi, dal fondo di una sala o, il che fa lo stesso, dall’ultima colonna di un giornale o dall’ultima riga dei commenti di un blog prova a far notare che la sicurezza interna e internazionale è un diritto fondamentale proprio come lo è la libertà di parola e che preoccuparsi di provare a garantire il primo a rischio di comprimere il secondo potrebbe non essere la cosa giusta da fare vengono, regolarmente, bollati come perdite di tempo, preoccupazioni minori, effetti collaterali indispensabili.
E’ tutto straordinariamente umano.
Ed ‘ per questo che il post pubblicato nei giorni scorsi da Internet Archive – un’associazione non profit che da anni si preoccupa di registrare e archiviare la storia del web acquisendo e conservando un enorme quantità di contenuti che attraverso la Rete vengono pubblicati e condivisi – potrebbe essere, oggi, in un momento normale, fortunatamente non funestato da questo o quell’evento terroristico, particolarmente utile e istruttivo.
La storia che Internet Archive racconta è eguale a altre centinaia di storie che, normalmente, restano all’ombra delle cronache su questi temi che, sfortunatamente, tendono a affrontare il problema come se Internet altro non fosse che la sommatoria delle pagine e dei servizi di Google, Facebook, Twitter e delle altre big corporation del Web.
E quella di Internet Archive è semplicemente la storia di chi non è in grado – e non lo sarà neppure domani senza esporre a un rischio grave di censura la storia recente e passata del mondo – di garantire quel livello pulizia del web che i Governi di mezzo mondo immaginano di poter esigere da ogni gestore di piattaforma online o fornitore di servizio.
Cinquecento richieste di rimozione di contenuti in poche settimane dalla sola Francia, uno solo degli oltre duecento Governi con i quali è costretta a interfacciarsi, richieste in molti casi errate, in altri generiche cui dar corso in poche ore, una soltanto addirittura secondo la nuova disciplina alla quale sta lavorando il Parlamento europeo, a pena di restare esposti a sanzioni economiche, in molti casi insostenibili.
Ci sarebbe una sola strada per adempiere a tutto questo secondo Internet Archive, automatizzare il processo di rimozione dei contenuti segnalati, rinviando a un momento successivo la verifica della fondatezza o meno della segnalazione.
Ma questo, naturalmente, significa rischiare di veder sparire dal web – poco importa se per un’ora, un giorno, un mese o per sempre – contenuti che meriterebbero di restare online in quanto frammenti, tutti egualmente preziosi, della nostra libertà di informazione.
Prendiamo il caso delle segnalazioni ricevute da Internet Archive dal Governo di Parigi nelle ultime settimane, ad esempio: un robot avrebbe condannato alla rimozione una pagina contenente un semplice catalogo di centinaia di migliaia di risorse indicizzate rendendole tutte di fatto inaccessibili allo scopo di sottrarre al pubblico un solo link.
Certo le tecnologie evolveranno, certo le Autorità competenti potranno far sempre meglio e segnalare i contenuti da rimuovere in maniera sempre più puntuale ma, difficilmente, tanto basterà a eliminare ogni rischio di censura involontaria.
Questo, naturalmente, non significa e non deve significare dover rinunciare a combattere contro una piaga del secolo come la promozione del terrorismo online ma semplicemente continuare a cercare soluzioni equilibrate con la consapevolezza che prima di identificarne una o l’altra, si tratta di decidere il futuro che vogliamo: un mondo nel quale per garantirci la rimozione di un contenuto illecito dal web siamo disponibili a correre il rischio di condannare all’oblio centinaia o migliaia di contenuti leciti o un mondo nel quale, al contrario, per garantirci che centinaia o migliaia di contenuti leciti restino online, siamo disponibili a accettare il rischio che anche un contenuto illegale resti online?
E’ “solo” una questione di scelta ma è una scelta terribilmente difficile.
Guido Scorza
USA, proposta di legge contro gli “algoritmi discriminatori”
Le grandi compagnie che fanno uso di sistemi basati su machine learning (ad esempio riconoscimento facciale o algoritmi di targeting pubblicitario) potrebbero dover presto ispezionare gli algoritmi alla base per verificare se esistano imparzialità. E’ quanto emerge da una nuova proposta di legge che viene promossa negli USA dai senatori Democratici Corey Booker e Ron Wyden, e dal Rappresentante Yvette Clarke.
Il disegno di legge, intitolato Algorithmic Accountability Act del 2019, concederà un nuovo potere alla Federal Trade Commission (FTC) degli Stati Uniti e costringerà le aziende a valutare se la razza, il genere o altri pregiudizi siano alla base della loro tecnologia così come se pongano rischi per la privacy e la sicurezza dei consumatori. Le regole si applicherebbero alle società con entrate annuali superiori a $ 50 milioni, ai data broker e alle imprese con oltre un milione di dati dei consumatori.
“I computer sono sempre più coinvolti nelle decisioni più importanti che influenzano la vita degli americani – indipendentemente dal fatto che qualcuno possa acquistare una casa, ottenere un lavoro o addirittura andare in prigione”, ha detto il senatore democratico Ron Wyden in un comunicato stampa che annuncia il disegno di legge. “Ma invece di eliminare i pregiudizi, troppo spesso questi algoritmi dipendono da ipotesi o dati distorti che possono effettivamente rafforzare la discriminazione nei confronti delle donne e delle persone di colore”.
Blitz in ambasciata, arrestato Julian Assange
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è stato arrestato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dopo che Quito ha revocato la concessione dell’asilo al giornalista australiano. Assange è stato portato in custodia alla stazione centrale di Scotland Yard, poi in tribunale. Il fondatore di Wikileaks, durante il suo arresto è stato sollevato e portato via di peso da sette agenti in borghese della polizia di Londra, come si vede in un video trasmesso da Sky News. Al momento del suo arresto Assange aveva in mano un libro di Gore Vidal. Il suo j’accuse, rilanciato dalle immagini riprese da tutti i media del Regno, si racchiude in due frasi pronunciate nella calca. La prima è una denuncia: “Il Regno Unito non ha civiltà”; la seconda un appello ai cittadini britannici: “Il Regno Unito deve resistere”.
Assange è stato riconosciuto colpevole immediatamente di fronte alla Westminster Magistrates’ Court di Londra di aver violato i termini della cauzione nel 2012 per non essersi presentato allora dal giudice ed essersi invece rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador. Per questo reato rischia una pena fino a 12 mesi di carcere nel Regno Unito (la sentenza precisa sarà definita più avanti) in attesa che le autorità britanniche decidano anche sulla richiesta di estradizione presentata dagli Usa.
Walmart assume robot per sostituire alcune attività umane
Walmart sta assumendo robot per sostituire quelle attività umane “non “piacciono”. Nel tentativo di risparmiare sui costi di manodopera, Walmart scommette sempre più sui robot per pulire i pavimenti, ordinare l’inventario e rifornire gli articoli esauriti nei suoi negozi, come riportato da The Wall Street Journal .
Walmart ha in mente diverse “position” per i nuovi robot. I robot pulitori per pavimenti arrivano in 1.500 negozi. (La società afferma che lo scrubbing del pavimento era in precedenza un compito che poteva richiedere a un operatore umano due o tre ore al giorno per completarlo.) Walmart inoltre si servirà di 600 nuovi robot trasportatori che possono ordinare automaticamente l’inventario e almeno 300 saranno i robot che possono controllare se sugli scaffali si stanno esaurendo le scorte.
Più robot vengono assunti più denaro viene risparmiato nei suoi 4.600 negozi negli Stati Uniti. Walmart però sostiene che se, da un lato, sta riducendo il lavoro per compiti come la pulizia dei pavimenti, dall’altro sta assumendo nuovi dipendenti per concentrarsi sulla crescita del proprio business di generi alimentari online, rendendolo più competitivo con Jet.com e stabilire una maggiore presenza in rete.