Cosa sta succedendo negli Stati Uniti sull’intelligenza artificiale?
Ha avuto un’ampia eco mediatica il tern tentativo legislativo di imporre una moratoria decennale sulle leggi statali, consentendo esclusivamente al governo federale di legiferare nell’ambito delle politiche pubbliche statunitensi sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Sebbene tale disposizione abbia inizialmente ottenuto il via libera dalla Camera dei Rappresentanti tramite l’inserimento nella proposta di legge “One Big Beautiful Bill”, essa è stata successivamente rimossa dal Senato con un voto bipartisan (99‑1), sollevando interrogativi su quanto questa battaglia sia realmente conclusa.
Il cuore della questione ruota attorno a due linee d’argomentazione, che riguardano la frammentazione normativa, con i sostenitori della moratoria temono un mosaico di leggi AI statali che ostacolerebbe l’innovazione e la competitività globale, e il federalismo protettivo, dove gli oppositori evidenziano come l’assenza di leggi federali efficaci renda inefficace un blocco statale, lasciando i cittadini senza tutele sui rischi concretamente emergenti.
Origine e finalità della moratoria
L’iniziativa è nata nel maggio 2025, quando la Camera ha inglobato nel maxi-emendamento la proposta per una moratoria di dieci anni sulle leggi IA statali. Sponsorizzata da rappresentanti del GOP e supportata da grandi aziende come OpenAI, Microsoft, Google, Amazon e Meta, la moratoria si fondava su due presupposti principali: a) prevenire l’“effetto patchwork” normativo che, secondo i promotori, ostacolerebbe le imprese tecnologiche; b) permettere al Congresso di elaborare un quadro regolatorio federale unificato e competitivo a livello globale, soprattutto per contrastare la Cina.
Durante le audizioni parlamentari, esperti e dirigenti dell’industria hanno difeso la moratoria come strumento per evitare tortuosi obblighi incrociati, definendo l’intervento federale come la soluzione ottimale per sostenere l’innovazione transnazionale
Critiche e opposizioni
L’opposizione è emersa con forza dai procuratori generali di oltre 40 Stati, da 17 governatori (inclusi alcuni repubblicani), e da organizzazioni civili per i diritti, il consumatore, la sicurezza dei minori e le comunità religiose. Le critiche principali hanno interessato la disparità tra l’elevata urgenza dei rischi IA (deepfake, violazioni della privacy, bias algoritmico) e la mancanza di adeguate alternative federali e la possibilità concreta che la misura cancellasse leggi esistenti su deepfake, diritti di pubblicità e sicurezza dei minori, creando un vuoto legislativo pericoloso.
All’interno dei repubblicani si è formata una frattura significativa: figure di spicco come Marsha Blackburn, Josh Hawley, Marjorie Taylor Greene, e alcuni governatori, si sono dissociate. L’obiezione principale è stata la difesa del federalismo, insieme a sostegni a diritti d’autore, creatività locale, e normative che già tutelano creatori e cittadini.
Il voto al Senato e la disfatta
Nelle prime ore del 1° luglio 2025, il Senato ha approvato con voto 99‑1 un emendamento volto a rimuovere la moratoria. Marsha Blackburn, che aveva negoziato un compromesso (moratoria ridotta a 5 anni con alcune eccezioni), ha promosso il ritiro della disposizione, sostenendo che la proposta nebulosa avrebbe potuto vanificare leggi statali già in vigore, specialmente quelle proteggenti infanzia e consumatori. Tra le motivazioni dichiarate, anche la mancanza di un quadro federale robusto («nessuno ha approvato norme federali […] ma gli Stati sì») e un sentimento bipartitico in difesa del ruolo regolatorio statale.
Morta o rimandata? Prospettive future
Tuttavia, non manca chi sostiene che la battaglia non sia conclusa e che sia possibile un secondo passaggio legislativo: rappresentanti come Rich McCormick (R‑GA) e gruppi come l’ALFA Institute hanno annunciato l’intenzione di ripresentare la moratoria in ambiti legislativi alternativi, sostenuti anche da un’attività di lobbying incessante da parte delle Big Tech.
Peraltro, v’è da dire che la definizione di quali leggi rientrano nel blocco non è chiara, lasciando spazio a interpretazioni giuridiche che potrebbero prolungarne gli effetti anche oltre la rimozione formale.
Conclusioni
Il dibattito è interessante per una molteplicità di motivi.
Innanzi tutto, la tensione tra l’istanza federalista — in difesa della pluralità normativa statale — e l’esigenza di creare un quadro normativo consistente, competitivo e uniforme a livello nazionale, nel quale la moratoria avrebbe favorito l’orientamento verso la seconda opzione, svantaggiando tuttavia il contesto democratico locale.
In secondo luogo, se è vero che il Senato ha rigettato la moratoria, la stessa vicenda mette in luce una debolezza sistemica, con l’assenza di reazioni normative federali tempestive. Allo stesso modo, risultano forti e inasprite le tensioni politiche, in cui misure fortemente contestate possono essere temporaneamente escluse per riemergere in forme modificate.
Insomma, l’impressione è che sia stata vinta una battaglia, ma che la guerra sia ancora lunga.