L’UE deve ripensare la decisione di adeguatezza con Israele?
Negli ultimi mesi, l’aggressione di Israele nella Striscia di Gaza ha generato una crescente mobilitazione non solo sul piano politico e umanitario, ma anche nel mondo della cultura e dell’arte. In particolare, numerosi musicisti britannici e irlandesi si sono uniti per denunciare le gravi violazioni dei diritti umani e chiedere un cessate il fuoco immediato. Tra loro figurano artisti del calibro di Massive Attack, Brian Eno, Idles, Fontaines D.C. e Black Country, New Road, che hanno firmato una lettera aperta rivolta ai festival musicali europei, esortandoli a boicottare ogni forma di collaborazione con enti culturali israeliani complici del regime militare nei territori palestinesi.
Come riportato da un articolo della CNN del luglio 2025, questa iniziativa è sostenuta dalla campagna “Musicians for Palestine”, che da tempo invita il settore musicale internazionale a non normalizzare rapporti con istituzioni israeliane coinvolte in quella che viene descritta come un’occupazione coloniale. La lettera richiama il massacro di oltre 37.000 palestinesi, in maggioranza donne e bambini, e la distruzione sistematica delle infrastrutture civili a Gaza, sottolineando come l’arte non possa rimanere neutrale di fronte a una simile catastrofe umanitaria.
Questa mobilitazione culturale si inserisce in un più ampio contesto di pressione pubblica e attivismo della società civile che, al di là del mondo artistico, riguarda anche l’ambito dei diritti digitali e della protezione dei dati personali. Un elemento spesso trascurato ma cruciale, infatti, riguarda le relazioni normative tra l’Unione europea e Israele in materia di trasferimento transfrontaliero dei dati personali.
In particolare, la decisione di adeguatezza, concesso a Israele dalla Commissione europea, ossia l’accordo che consente di scambiare dati personali tra i due ordinamenti giuridici, è oggetto di critiche sempre più intense.
Secondo quanto evidenziato nel rapporto Data flows and digital repression: Civil society urges EU to reassess Israel’s adequacy status, cui hanno contribuito numerose organizzazioni per i diritti digitali. tra cui Access Now e European Digital Rights (EDRi), l’Unione europea rischia di compromettere i propri standard in materia di protezione dei dati concedendo a Israele un trattamento di favore, nonostante il mancato rispetto sistematico dei diritti fondamentali. Lo status di adeguatezza, infatti, consente il libero flusso di dati personali tra l’UE e un paese terzo sulla base del presupposto che quest’ultimo garantisca un livello di protezione equivalente a quello europeo previsto dal GDPR. Tuttavia, secondo le organizzazioni firmatarie del documento, Israele non rispetta tale standard.
In particolare, viene denunciata la sorveglianza di massa sui palestinesi attraverso strumenti tecnologici sofisticati, la raccolta e il trattamento discriminatorio dei dati biometrici, e l’uso di tecnologie intrusive sviluppate e commercializzate da aziende israeliane – spesso con il sostegno diretto dello Stato – in contesti di repressione. Esemplare è il caso di Pegasus, il software di spyware sviluppato dalla NSO Group, utilizzato per monitorare giornalisti, attivisti e oppositori politici, con impatti globali ben documentati.
La concessione o il rinnovo della decisione di adeguatezza, in simili condizioni, solleva quindi interrogativi rilevanti non solo sul piano giuridico, ma anche politico ed etico. Il principio di coerenza delle politiche dell’Unione europea, sancito dall’art. 21 del Trattato sull’Unione europea, impone infatti che le azioni esterne dell’UE siano guidate dal rispetto dei diritti umani. Eppure, nel caso di Israele, sembra emergere una contraddizione evidente tra le dichiarazioni di principio e le scelte regolamentari in materia di dati personali, che potrebbero finire per legittimare un sistema di sorveglianza discriminatoria e repressiva.
Anche il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) e il GEPD (Garante europeo della protezione dei dati) hanno espresso preoccupazione per la mancanza di meccanismi efficaci di ricorso giurisdizionale per i soggetti i cui dati vengono trasferiti in Israele. Inoltre, la legge israeliana sulla protezione dei dati – risalente al 1981 – non appare conforme ai requisiti europei in termini di limitazione delle finalità, proporzionalità e diritti degli interessati.
In questo contesto, le iniziative degli artisti come quelle dei Massive Attack e Brian Eno assumono un significato più profondo: non si tratta solo di espressioni di dissenso artistico, ma anche di forme di pressione politica che si intrecciano con le istanze della società civile internazionale per chiedere coerenza, giustizia e responsabilità. La musica, come il diritto, può diventare uno strumento di contestazione e di proposta, un mezzo per rimettere al centro la dignità umana in tutti i suoi aspetti – fisici, culturali e digitali.
Mentre il conflitto continua a mietere vittime e a sollevare indignazione globale, l’Unione europea è chiamata a una scelta difficile ma necessaria: rivedere lo status di adeguatezza di Israele alla luce dei principi fondamentali su cui si fonda il suo ordinamento giuridico. In caso contrario, il rischio è che la retorica dei diritti si svuoti, e che l’Europa perda ulteriore credibilità come attore globale impegnato nella difesa dei valori democratici.