INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIUSTIZIA PREDITTIVA: NECESSARIA EVOLUZIONE DIGITALE VERSO UNA GIURISPRUDENZA ROBOTICA?
È indubbio che l’intelligenza artificiale preoccupi molto gli studiosi del diritto, che discutono sui vantaggi e sugli svantaggi della AI e del suo impiego nei vari settori in cui viene adottata, compreso la Giustizia.
Un vantaggio facilmente rilevabile è relativo al principio di velocizzazione, poiché l’AI è in grado di fornire la possibilità di elaborare i dati in maniera computazionale e, quindi, velocizzare i tempi della giustizia. Ciò perché il problema che maggiormente penalizza e paralizza il sistema giudiziario italiano, con ampi riverberi anche sugli investimenti di capitali stranieri, è la durata (per certi versi, irragionevole!) dei processi sia in sede civile che penale.
Sul piano processuale, un altro vantaggio della AI è dato dal prevedere l’incameramento di informazioni e dati che riguardano la procedimentalizzazione del rito, in quanto può essere in grado di influire positivamente, ad esempio, sull’attività di cancelleria, in modo da consentire un’ottimizzazione automatizzata di alcune prassi. Si pensi anche alla convalida di sfratto che è un procedimento automatico e, pertanto, potrebbe non essere rilevante l’ausilio umano; analoghe riflessioni potrebbero valere per l’accertamento tecnico preventivo (ATP) che è frutto di un altro automatismo, di quesiti che, nella prassi, sono standardizzati e, non richiedendo nessun elemento conoscitivo ulteriore da parte del giudice e che, in tali casi, potrebbero essere procedimentalizzati attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Anche dal punto di vista della ragionevole durata del processo, riconosciuto ai sensi dell’art. 111, 2 comma Cost., una giustizia amministrata da macchine dotate di AI, pronte a prestare servizio tutti i giorni per ventiquattro ore, sarebbe sicuramente un ulteriore elemento a vantaggio. Infatti, secondo il punto di vista di alcuni studiosi, il giudice naturale precostituito per legge, così come disciplinato dall’art. 25 Cost., terzo ed imparziale ex art. 111, 2comma, Cost., autonomo ed indipendente ai sensi dell’art. 104 Cost., potrebbe essere artificiale perché distante dai condizionamenti dell’uomo e, quindi, in grado di garantire un diritto calcolabile e certo.
Nonostante la (apparente?) veridicità di queste ultime considerazioni, è convinzione di chi scrive che sia necessario mantenere una differenza concettuale tra l’umano e la sua empatia e l’artificiale e la sua apatia. La AI non è una res cogitans (la realtà pensante nella filosofia di Cartesio) che riesce a fornire risposte come una persona fisica. Può, senza dubbio, offrire dati ed informazioni che un umano non potrà mai elaborare in modo così rapido, ma non ha e non potrà avere la sensibilità dell’uomo e, nel nostro caso, del giurista. La macchina è priva di dignità di giudicare che, invece, è parte dell’intelletto e, quindi, della persona umana.
Alla luce dei pro e contro evidenziati, la AI potrebbe affiancare il giudice senza, però, sostituirlo né in termini formali né sostanziali. Alcuni segnali nella direzione di un riconoscimento del diritto così inteso vengono dal diritto dell’UE e, in particolare, dal Regolamento Generale per la protezione dei dati personali 2016/679 (GDPR), il cui art. 22 prevede: “il diritto di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.”
L’inciso “unicamente” ci suggerisce come il giudice possa avvalersi, non esclusivamente, dell’algoritmo per esprimere un giudizio. Si ipotizza che tale norma voglia porre un freno o, comunque, desideri meglio regolamentare i repentini cambiamenti avuti con l’evoluzione tecnologica, con il divieto di essere sottoposti a decisioni unicamente automatizzate.
LA GIUSTIZIA PREDITTIVA
Da tempo si discute sul tema della giustizia predittiva tramite l’uso di algoritmi e ciò ha generato non poche perplessità nel mondo del diritto, creando una sorta di divisione tra i giuristi. L’intelligenza artificiale ha trovato applicazione anche nel settore della giustizia in riferimento, ad esempio, alla possibilità di prevedere l’esito di un giudizio tramite algoritmi matematici. Tale fenomeno prende il nome di “giustizia predittiva” (predictive justice). Ebbene, capiamo meglio di cosa si tratta.
Il motore di intelligenza artificiale è programmato per analizzare il testo delle sentenze emesse dai Tribunali e, successivamente, è in grado di fornire una stima predittiva ex ante di probabile vittoria o soccombenza in giudizio, relativa ad una specifica questione di fatto e/o di diritto controversa.
Punto fermo di ogni ragionamento sulla giustizia predittiva è il già citato principio del giusto processo – disciplinato ai sensi degli artt. 111 Cost. e art. 6 CEDU – che, applicato all’ambito di cui si discute, dovrebbe suggerire l’adozione di algoritmi che siano in grado di riprodurre autonomamente tutti gli elementi che contribuiscono a rendere un procedimento giudiziario equo e giusto.
A livello europeo, altre nazioni si sono già adoperate nel percorrere la strada della giustizia predittiva. Ad esempio, in Francia è stata creata la piattaforma Predictice, la quale consente di stimare il probabile esito giudiziario di un contenzioso. In altri paesi si parla addirittura del c.d. giudice robot in grado di velocizzare, uniformare ed automatizzare le decisioni giudiziarie. Quindi, una sostituzione del giudice persona fisica per una decisione elettronica/algoritmica. Ma, è evidente che questa non possa essere la soluzione più adatta. Vale sempre l’antico ammonimento di Piero Calamandrei, il quale asseriva che un ordinamento moderno non ha bisogno di giudici inanimati, ma di giudici con l’anima, giudici engagés “che sappiano portare con vigile impegno umano il grande peso di questa immane responsabilità che è il rendere giustizia”.
Dunque, in molti altri ambiti delle scienze, l’utilizzo della AI è già una realtà, pertanto è corretto domandarsi se, anche in ambito processuale, la giustizia predittiva possa considerarsi un’ipotesi di applicazione attuale o, soltanto, un’idea futuristica.
ALGORITMI PREDITTIVI: IL CASO COMPAS
Per meglio comprendere i possibili utilizzi dei software di giustizia predittiva in ambito processuale, è possibile partire dall’analisi del celebre caso Compas.
Nel febbraio del 2013, in America, Eric Loomis è stato condannato alla pena di sei anni di reclusione per aver guidato un’auto usata durante una sparatoria, non fermandosi al controllo della polizia. Il giudice, nello stabilire la pena, ha tenuto conto anche del punteggio, assegnato all’imputato da un software predittivo chiamato Compas. Pertanto, i risultati di questo algoritmo sono stati utilizzati come elemento determinante per quantificare la pena inflitta all’imputato. Questo sistema è stato in grado di prevedere il rischio che un soggetto possa commettere nuovamente un reato. Quindi, Loomis non è stato condannato solo per ciò che ha effettivamente compiuto, ma anche per ciò che potrebbe compiere in futuro. In buona sostanza, non è stato condannato per la recidiva così come comunemente intesa, ma per un rischio di recidiva in futuro. L’imputato ha impugnato la sentenza adducendo il fatto che il giudice di primo grado avesse fondato la sua decisione sui risultati di un algoritmo. Tuttavia, anche la Suprema Corte non si è pronunciata a favore di Loomis, sostenendo che la decisione sarebbe rimasta invariata anche senza l’utilizzo del software predittivo.
A prescindere dal caso in analisi, negli USA è consuetudine di alcune Corti avvalersi di tecniche informatiche e, quindi, di un sistema predittivo per misurare il rischio di recidiva di un soggetto detenuto ai fini della determinazione dell’entità della pena o di una misura alternativa alla detenzione.
Diversa è la situazione europea. Per evitare che si possa scadere nel pregiudizio della macchina, il Parlamento Europeo, nel report del gennaio 2019 su “AI and Robotics”, ha sottolineato la necessità dell’intelligibilità delle decisioni, oltre che il diritto dell’interessato a essere informato circa la logica del trattamento automatizzato e la garanzia dell’intervento umano, secondo le previsioni richiamate del GDPR (artt. 13-14-15).
CONCLUSIONI
A parere di chi scrive, l’analisi porterà a concludere per l’esclusione di una sostituzione in toto della figura del giudice e per l’opportunità, invece, di affidare all’intelligenza artificiale un ruolo di “supporto” in riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale che deve rimanere, nel suo nucleo essenziale, prerogativa umana.
Questo perché, come ampiamente detto, la macchina può fornire la struttura del dato, ma il dato semantico non può non essere rimesso all’interprete e cioè al giurista, in quanto non è immaginabile la possibilità di sostituire totalmente gli operatori del diritto. Pertanto, bisognerebbe addivenire ad una coesistenza tra uomo e macchina e alla possibilità di sviluppare dei principi che possano fondare l’interazione tra l’umano e il meccanico.
Al contempo, è anche vero che l’evoluzione informatica e l’utilizzo sempre più diffuso della tecnologia devono subentrare nel sistema della giustizia per prospettare una digitalizzazione della stessa. Il Processo Civile Telematico (PCT) è stato, infatti, il primo tentativo di adeguamento della giustizia alle novità tecnologiche. Ciò ha significato lo sviluppo crescente di siti web e la fornitura online dei c.d. e-sevices, tra cui il PolisWeb per la consultazione, da parte dell’avvocato, dei registri informatici di tutti i fascicoli in modo da essere aggiornato sullo stato dei procedimenti civili di cui ha il patrocinio legale, direttamente dal computer del proprio studio. A tal proposito, non fa eccezione il nostro Ministero della Giustizia che inizia ad investire pesantemente su grandi progetti per trasformare un sistema di attività, basato essenzialmente sulla carta, in un sistema completamente elettronico (e-justice).
In conclusione, però, deve ritornare alla mente il monito di Calamandrei: la tecnica algoritmica, almeno per come conosciuta allo stato, dovrebbe essere funzionale e di ausilio all’uomo, ma non dovrebbe determinare un processo di “schiavizzazione” o di “sottoposizione”.
Rosa Corrado