Abusivismo finanziario e vendita di bitcoin come proposta di investimento
Secondo molti, il settore degli investimenti finanziari verrà drasticamente rivoluzionato dalle cosiddette criptovalute, le monete digitali utilizzabili mediante un determinato codice informatico (ossia chiavi di accesso pubbliche o private).
Nonostante la novità del fenomeno e, in generale, l’assenza, ad oggi, di una regolamentazione consolidata ed omogenea che ne disciplini l’emissione e l’utilizzo, l’offerta di moneta virtuale può però avere dei risvolti in ambito penalistico laddove offerta sul mercato con finalità di investimento.
A tale proposito, con la sentenza 44337 dello scorso 10 novembre 2021, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di ritornare sul tema della natura giuridica dei bitcoin (la celebre criptovaluta creata nel 2009 da uno o più hacker con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto) e, in generale, delle criptovalute qualora siano proposte sul mercato con finalità di investimento.
In particolare, con ordinanza del 4 giugno 2021, il Tribunale di Parma confermava il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero presso il medesimo Tribunale, nei confronti di un soggetto indagato, tra l’altro, per il reato di cui all’art. 166 del D.lgs 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, cosiddetto “TUF”) che punisce chiunque, senza esservi abilitato, “offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, strumenti finanziari o servizi di investimento”.
In tale contesto, veniva sequestrato il sito che promuoveva illecitamente strumenti propedeutici alla messa in circolazione della moneta elettronica e, nello specifico, di bitcoin assimilati ad “oro digitale”.
I difensori dell’indagato ricorrevano quindi per Cassazione lamentando l’assenza del fumus del reato menzionato, in quanto la mera associazione dei bitcoin all’oro digitale non potrebbe costituire elemento sufficiente ad applicare il concetto normativo di investimento finanziario.
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha tuttavia operato una breve disamina della normativa applicabile alle criptovalute, nonché la sua precedente giurisprudenza in materia di intermediazione finanziaria e vendita on line di moneta virtuale.
In particolare, il concetto di moneta virtuale si rinviene nella Direttiva 2018/843/UE, che disciplina i rapporti tra moneta corrente e virtuale definendo quest’ultima come una “rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente” (art. 1).
A livello nazionale occorre invece fare riferimento al D.lgs 231/2007, che all’art. 1 definisce la valuta virtuale come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica,non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
È quindi nella normativa italiana che si rinviene la rilevanza delle attività aventi finalità di investimento condotte su criptovalute.
Tanto premesso, la Suprema Corte, richiamando la sua precedente giurisprudenza sul punto1, ha ribadito che la vendita di bitcoin pubblicizzata come una vera e propria proposta di investimento ricade nell’alveo di tutte quelle attività per le quali è richiesto l’adempimento delle previsioni di cui agli artt. 91 e seguenti del TUF, nonché assoggettate al controllo della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa.
In tale contesto, l’omissione di dette norme può integrare il reato di cui all’art. 166 del TUF, in quanto il bitcoin ben può considerarsi un prodotto finanziario qualora venga acquistato con finalità di investimento e quindi assuma la funzione e la causa concreta di di strumento di investimento.
Ariella Fonsi
1 Cass., Sez. II, sentenza n. 26807 del 17/09/2020.