Politica dei dati o dati in politica? Innovazione tra “fuffa” e (possibili) soluzioni
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Lo stato dell’arte. – 2. Cos’è successo? – 3. Cultura come sinonimo di consapevolezza: usiamo la Rete o la Rete ci usa?- 4. Come superare l’ostacolo della personalizzazione? Guida “galattica” per il cittadino.
Lo stato dell’arte. Le elezioni politiche del 25 settembre 2022 hanno posto in risalto un dato già da tempo noto che ha trovato un’ulteriore conferma nella concreta casistica nostrana: l’inerzia, se non addirittura la totale incapacità valorizzare, come priorità strategica di intervento, il tema dell’innovazione digitale, rendendolo uno dei principali pilastri operativi su cui fondare l’elaborazione di un’agenda politica in grado di formalizzare la progettazione di una visione moderna declinata al future.
“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.
La classe politica – piuttosto che “cavalcare” l’ondata di innovazione tecnologica accelerata dalla pandemia “Covid-19”, ha, invero, perso l’ennesima occasione, concentrando esclusivamente l’attenzione sulla rendita comunicativa (presunta o reale) generate dai social media, senza pianificare l’avvio di una strategia concreta in grado di veicolare indispensabili iniziative di cultura digitale: grande tallone d’Achille di un’Italia che versa in uno scenario sempre drammatico. In tale scenario, il dibattito pubblico è stato monopolizzato dall’esasperata tendenza di misurare le performance “social” dei politici, aspiranti rappresentanti istituzionali, nell’ottica di sfruttare i benefici da “acchiappa click” come strumenti di mobilitazione propagandistica per “vincere” le elezioni.
Cos’è successo? A partire dagli anni Ottanta, in seguito al declino dei grandi partiti di massa, le campagne elettorali assumono i tratti della “personalizzazione leaderistica” concentrata sul candidato “in pectore” designato come appunto riferimento della coalizione che rappresenta. Si tratta di un fenomeno che emerge più facilmente nei regimi presidenziali, dove il voto alla persona è permesso e incentivato dalle regole elettorali, anche se già pochi anni dopo, per effetto del “social campaigning” trainato da Obama nel 2008,iniziano a emergere le enormi potenzialità di mobilitazione di Internet, ove la micropersonalizzazione delle campagne elettorali trova un mezzo potentissimo di propagazione negli smartphone che consentono di raggiungere gli elettori in ogni momento della giornata.
Tuttavia, per avere successo, la comunicazione del leader, oltre che veloce, deve essere martellante nella misura in cui i candidati sanno bene che, se da un lato hanno a disposizione potenti mezzi per entrare in una relazione, anche emotiva, con il cittadino, dall’altro sono poi costretti a rinforzare continuamente questo legame che correrebbe, altrimenti, il rischio di affievolirsi.
Infatti, oltre a produrre un flusso comunicativo più ampio e ramificato dei media tradizionali, i social assicurano anche un’efficace funzione di engagement dei cittadini: soprattutto quando incorporano video e immagini1: quindi il leader oggi, più che convincere, deve piacere, capovolgendo quel paradigma della teoria economica della democrazia secondo cui il consenso deriva, come sul mercato, dalla capacità di soddisfare l’utilità marginale del cittadino/consumatore2. Oggi, invece, il consenso si alimenta con la capacità di intrattenimento nel rapporto micropersonale tra politici e cittadini e, piuttosto che elaborare credibili programmi di contenuti, ai cittadini vengono presentati messaggio a presa rapida, concentrati esclusivamente sulla potenzialità emotiva che si allontana, quasi inevitabilmente, da qualsivoglia esigenza di approfondimento.
Ma – ammesso che sia auspicabile – affrontare la partita della rete staccando la spina dei social, la sfida reale è, a parere della scrivente, riprendere le fila della tela democratica, partendo dalle sterminate potenzialità che la rete offre sfruttando i social esclusivamente come mezzo di comunicazione di iniziative già poste in essere, senza, tuttavia, trascurarne anche “i lati oscuri” da tenere sempre a mente per una corretta opera di alfabetizzazione digitale.
Cultura come sinonimo di consapevolezza: usiamo la Rete o la Rete ci usa?
Il principale valore della rete risiede nella libertà degli individui: di accesso, di relazione, di informazione, anche in un’ottica di responsabilizzazione.
Quando un leader sceglie di comunicare utilizzando il web, ma soprattutto, i social, deve essere conscio del grande, infinito e impercettibile “accordo economico” che decide di portare avanti con le logiche di viralizzazione dei contenuti su cui si basa il sistema di advertising online sviluppato dalle grandi aziende che offrono tali servizi.
Quando si passa, infatti, dal mercato delle idee a quello dei dati ecco che la questione assume un aspetto diverso.
La massificazione dell’interazione social ha esposto il singolo utente a inediti rischi provocati dalla personalizzazione dei contenuti3, riducendo il pluralismo informativo indispensabile per stimolare il confronto di idee ed esperienze che distruggono i nostri preconcetti e cambiano il modo di vedere il mondo.
La personalizzazione – e cioè la bolla di informazioni in cui vengono chiusi gli utenti – si basa, infatti, su un accordo economico: in cambio dei servizi, regaliamo alle grandi aziende un’enorme quantità di dati personali processati, da cui discende la proliferazione di informazioni polarizzate in grado di creare un “eco chamber” destinato ad escludere l’utente da contenuti che sono in contrasto con il suo punto di vista, isolandolo in tal modo nella sua bolla culturale o ideologica.
Prende forma una sorta di determinismo dell’informazione, secondo cui ciò che abbiamo cliccato in passato determina ciò che vedremo in futuro, rimanendo così bloccati in una versione statica e sempre più ridotta della capacità di critica e confronto, oltre al rischio di una deriva di disinformazione sempre più dilagante online.4
Partendo da tale stato dell’arte è chiaro che la politica della bolla dei filtri potrebbe fare di noi delle persone che votano su un unico tema.
Come i mezzi di informazione personalizzati, la pubblicità mirata è una strada a doppio senso: per esempio, si può vedere una pubblicità sulla difesa dell’ambiente perché si possiede, magari, un auto ibrida, ma vederla potrebbe anche far desiderare di preservare di più l’ambiente. E se gli organizzatori di una campagna elettorale sono in grado di stabilire che questo è il tema sul quale gli elettori si lasceranno più facilmente convincere, perché focalizzare anche gli altri punti del programma (magari meno attraenti)?
Inoltre, il problema politico più grave creato dalle bolle di filtro consiste nel rendere sempre più difficile il dibattito pubblico. Con il continuo aumentare dei messaggi, è sempre più difficile per chi organizza una campagna stabilire chi ha detto cosa e chi, senza essere – anche inavvertitamente – influenzati dalla personalizzazione delle ricerche, oltre a una diffusa radicalizzazione di comportamenti di odio e violenza incentivati da un’estremizzazione sempre più convincente delle proprie idee.
Secondo un approfondimento curato dal New York Times5, i social media possono essere volani di disinformazione proprio nei periodi di campagna elettorale a causa della diffusione di contenuti fuorvianti suscettibili di compromettere il pluralismo informativo e il dibattito politico-sociale e che la classe politica non può più trascurare e ignorare.
Come superare l’ostacolo della personalizzazione? Guida “galattica” per il cittadino.
Nonostante l’ultima recente campagna elettorale sembra aver gettato nel dimenticatoio il dibattito sui temi dell’innovazione, il cittadino possiede numerosissimi strumenti di partecipazione attiva che, alla prova dei fatti, potrebbero determinare un auspicabile cambio di tendenza.
Ed è proprio in questo quadro che risulta centrale lo sviluppo di politiche di e-government come motore di sviluppo economico e come strumento di promozione di una democrazia maggiormente partecipata dai cittadini.
Infatti, in base alla concezione della “Digital Era Governance6”, per fronteggiare la complessità derivante dal rapporto “personalizzato” tra attori politici e cittadini, è opportuno individuare sistemi di governance collaborativa nella gestione della cosa pubblica (anche come declinazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale) e che presuppone, inoltre, come maggior incremento positivo, anche il superamento dei gap relativi alle competenze digitali di base che attanagliano il nostro Paese.
Chiaramente nel quadro applicativo dell’OpenGov non solo devono essere rese disponibili le informazioni relative a tutte le attività delle P.A., ma deve essere anche ridefinito il rapporto tra amministrazione e privati passando da un approccio in cui il cittadino è mero fruitore delle prestazioni erogate dall’amministrazione, ad uno basato sulla collaborazione, a condizione che si superi l’attuale pedissequo utilizzo dei social anche per evitare il rischio di una manipolazione delle informazioni ivi veicolate.
In tale contesto, perciò, il monitoraggio dei dati potrebbe rappresentare uno dei più efficaci strumenti attuativi dei principi di trasparenza, partecipazione e collaborazione in grado di fornire al cittadino gli elementi conoscitivi necessari per poter indirizzare scelte neutre e valutare in modo obiettivo le decisioni prese dalle istituzioni pubbliche.
Ed è per tali ragioni che l’accesso alle informazioni oggi viene riconosciuto alla stregua di un diritto, consistente nella pretesa dei cittadini ad essere proprietari ultimi dei dati pubblici, in quanto prodotti dalle P.A. nell’esercizio di funzioni generali come patrimonio aperto e pubblicamente disponibile.
Il Codice dell’amministrazione digitale, a riguardo, definisce all’art 68 il formato formato dei dati di tipo aperto come “un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi”.
I dati quindi devono essere accessibili e attraverso le tecnologie ICT e disponibili gratuitamente.
Perciò la disciplina positiva sui cui si basa l’intero impianto normativo del Codice impone una interconnessione che serve ad assicurare la disponibilità, fruibilità e la pubblicità dei dati e che considera le potenzialità digitali non solo sul piano quantitativo – come strumento finalizzato a velocizzare gli schemi e i paradigmi esistenti – ma anche sul piano qualitativo – come strumento destinato a impostare nuovi modelli procedurali più semplici, completi e dinamici.
Il cittadino, quindi, per rendere le proprie conoscenze più consapevoli, autentiche e neutre dovrebbe avvalersi di strumenti già esistenti: come l’utilizzo di monitoraggi civici che consentono di esaminare i contenuti dei siti istituzionali in base ai parametri del D.Lgs 33/2013: come ad esempio, le informazioni relative alla produttività degli eletti, l’utilizzo delle spese pubbliche, la gestione della comunicazione ecc. oppure, qualora ritenesse le informazioni disponibili poco attendibili o non del tutto complete, potrebbe ricorrere al cd. FOIA (Freedom Information Act) introdotto dal D.Lgs n. 97 del 2016 che ha modificato il D.Lgs n. 33 del 2013.
La citata normativa, positivizzando l’accesso civico generalizzato al fine di promuovere la partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e che garantiscono al cittadino la possibilità di richiedere dati e documenti alle pubbliche amministrazioni senza dover dimostrare di possedere un interesse qualificato.
Alla luce di tale scenario, quale sarà il destino della politica all’interno di questo complesso sistema democratico? Cambiano gli attori, le strategie, gli obiettivi, ma alla fine i conti sembrano sempre non tornare in tema di innovazione digitale.
Ci sarà mai un partito o un leader che comprenderà concretamente lo straordinario valore delle tecnologie digitali, rendendole centrali nella propria strategia politica? Il cittadino riuscirà prima o poi a sfruttare i vantaggi della Rete per contribuire alla rigenerazione della cosa pubblica?
1 Marketing e politica, come stanno andando i politici su TikTok? (https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/09/08/58592/?refresh_ce=1)
2 Cfr, M. Calise, F. Musella, Il principe digitale, Roma, Editori Laterza, 2021.
3 La bolla di filtraggio è il risultato del sistema di personalizzazione dei risultati di ricerche su siti che registrano la storia del comportamento dell’utente. Questi siti sono in grado di utilizzare informazioni sull’utente per scegliere selettivamente, tra tutte le risposte, quelle che vorrà vedere l’utente stesso. Il termine è stato coniato dall’attivista internet Eli Pariser nel suo libro The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You. (https://it.wikipedia.org/wiki/Bolla_di_filtraggio)
4 Eli Pariser, Il Filtro, Milano, il Saggiatore S.p.A., 2015
5 “On TikTok, Election Misinformation Thrives Ahead of Midterms”. – (https://www.nytimes.com/2022/08/14/business/media/on-tiktok-election-misinformation.html)
6 “Digital era governance implies that public sector organizations are facing new challenges and rapidly changing information technologies and information systems.” (https://en.wikipedia.org/wiki/Digital_era_governance)