Può un algoritmo diventare un “artista”?
Il recente provvedimento del Copyright Office di Washington DC, con cui è stata respinta la richiesta di riconoscere il diritto d’autore su un’opera bidimensionale (dal titolo “A RecentEntrance to Paradise”), in favore di un algoritmo di Intelligenza Artificiale –cd. Creativity Machine – ha sollevato non poche domande, dubbi e riflessioni non solo in ordine alle ricadute giuridiche connesse alla concreta configurabilità di opere creative meritevoli di tutela seppur non ascrivibili all’ingegno umano, ma soprattutto alla luce delle complesse implicazioni antropologiche sottese al concetto tradizionale di creatività ontologicamente estraneo al funzionamento algoritmico di una macchina.
Prima di entrare nel merito di tali osservazioni, a fronte di una serie di interrogativi che la questione pone, si rende opportuna una bene ricostruzione della vicenda da cui scaturiscono le relative considerazioni.
Al riguardo, il caso prende le mosse dalla richiesta del signor Steven Thaler – nella qualità di titolare del sistema di Creativity Machine – di poter liberamente registrare l’artwork realizzata da tale strumento di intelligenza artificiale, come legittimo proprietario.
L’US Copyright Office, nel richiamare i propri consolidati orientamenti in materia risalenti al 2018, rigetta l’istanza sull’assunto che l’immagine, creata dal menzionato sistema, non includeva alcun elemento di “paternità umana” qualificabile alla stregua di uno standard necessario per il riconoscimento del diritto d’autore, sottolineando la necessaria sussistenza di un nesso di collegamento tra “la mente umana e l’espressione creativa” in termini di condicio sine qua non, come presupposto indispensabile per affermare la tutela giuridica verso l’opera.
La difesa di Thaler, censurava il predetto rifiuto di registrare l’opera prospettando profili di incostituzionalità, in ragione del fatto che il requisito della c.d. “creazione umana” non sarebbe normativamente prescritto, con la conseguenza che i programmi creativi generati da macchine ben possono essere meritevoli di tutela, alla luce di una nozione di paternità da intendersi come categoria declinabile in senso lato, e pertanto comprensiva anche degli algoritmi.
Invero, dalla ricostruzione giurisprudenziale dell’ambito di applicazione delle disposizioni statunitensi in materia di copyright, sembra emergere la tendenziale preclusione delle relative norme a entità “non umane”, tenuto conto della casistica giurisprudenziale, da cui si evince che animali o cose inanimate non possono trarre vantaggio dalle protezioni del copyright: emblematico, in tal senso, il precedente “The Urantia Book” del 1997: in tale ipotesi, i giudici si sono pronunciati sulla configurabilità del diritto d’autore rispetto ad un libro di rivelazioni divine che circolava in California in quegli anni, ne hanno subordinato la tutela della proprietà intellettuale alla sussistenza di atti di disposizione sottoposti all’intermediazione umana.
Più di recente, con le “Civil Minutes” del 6 gennaio 2016, l’autorità giudiziaria ha ulteriormente precisato che i famosi selfie scattati dal macaco Naruto di cui si richiedeva il riconoscimento del diritto d’autore fossero privi di protezione giuridica, così escludendo la riconducibilità degli animali alle categorie applicative declinate dalla normativa in materia.
Rispetto al panorama normativo statunitense, lo scenario esistente a livello internazionale, invece, pur essendo storicamente può risalente nel tempo, sembra invece risultare maggiormente resiliente grazie ad un impianto flessibile, manifestando la tendenza – perlomeno teorica – ad attualizzare adeguamenti proattivi elasticamente adeguati all’evoluzione tecnologica.
Al riguardo, da una complessiva ricostruzione sistematica degli artt. 2,3 e 6-bis della Convenzione dell’Unione di Berna1(costituente il trattato internazionale recante le disposizioni in materia di diritto d’autore a livello planetario) si evince in via interpretativa che non esiste un diretto collegamento fra autore e opere protette, limitandosi a prevedere la paternità dell’opera , nel rispetto degli inerenti diritti patrimoniali in favore di una generale categoria – non meglio precisata –di “autori”, come configurazione elastica e aperta, suscettibile di comprendere identità ulteriori alle persone fisiche, considerate come “naturali” titolari delle relative situazione giuridiche soggettive.
Il Regno Unito, invece, prende espressamente in considerazione la possibilità che un’opera di natura intellettuale possa anche essere il risultato dell’attività creativa di un computer: infatti il Copyright Design and PatentAct del 1988 prevede il riconoscimento della titolarità dei diritti intellettuali di un’opera creata da una macchina e del soggetto che ha effettuato le configurazioni necessarie affinché la macchina possa generare l’opera2: la norma contiene, peraltro, anche una definizione di “computer generated work”, che è in buona sostanza l’opera creata da un computer senza alcun intervento umano.3
Sembra, inoltre, porre le basi per un ampliamento del riconoscimento di nuove forme di tutela, anche la Direttiva2001/29/CE (c.d. Direttiva Infosoc o Copyright) che, lungi dal definire esplicitamente la figura dell’autore delle opere protette, pare declinare – per la prima volta – in via normativa un criterio ampio di identificazione del creatore dell’opera, estensibile anche in relazione allo sviluppo tecnologico, per evitare di troppo circoscrivere la titolarità dei diritti da far valore sull’opera protetta, prevedendo però, da un lato, la necessità per i titolari dei diritti di “identificare meglio l’opera o i materiali protetti”, dall’altro, di meglio individuare “l’autore dell’opera o qualunque altro titolare di diritti”.4
A fronte di tali ricostruzioni e posto che l’impianto del diritto d’autore risponde ad una finalità precisa, cioè stimolare l’autore a generare nuove creazioni, si potrebbe, quindi, ipotizzare che uno dei requisiti indispensabili ai fini dell’ottenimento della protezione accordata dal diritto d’autore, sia rappresentato proprio dalla componente cd. “creativa”: dove per creatività si intende l’esternazione di ciò che il creatore intende realizzare e che si riflette sull’opera frutto del suo ingegno.
Chiaramente, in assenza di indicazioni univoche e uniformi normativamente vigenti a livello internazionale, la creatività del programmatore – rectius creatore dell’intelligenza artificiale – consisterebbe proprio nella selezione delle modalità attraverso cui l’algoritmo concretamente dovrebbe funzionare, così da ritenere il requisito in questione insito in tali scelte tecniche ed operative. La soluzione, dunque, potrebbe essere rappresentata dalla previsione di un diritto sui generis riconosciuto al creatore di essa in alternativa all’ordinaria attribuzione del “tradizionale” diritto d’autore.
In ogni caso, allo stato attuale, a fronte di un quadro normativo eterogeneo configurabile a “geometria variabile”, la variegata frammentazione normativa esistente pone rilevanti e complessi problemi giuridici, ulteriormente aggravati dal consueto approccio “patologico” del legislatore sempre più distante dai tempi rapidi dell’evoluzione tecnologica,, in un cronico inseguimento privo di tempestiva sincronizzazione regolatoria, indispensabile per formalizzare i cambiamenti che la rivoluzione digitale pone mediante la formalizzazione di adeguate categorie giuridiche.
Resta sullo sfondo la possibilità di riconoscere o meno gli algoritmi come formali autori di opere di ingegno: si tratta di una rilevante questione qualificatoria che postula l’esistenza – oggi carente – di una contaminazione trasversale del sapere giuridico con altre competenze multidisciplinari, nell’ottica di definire una fondamentale base applicativa funzionale a garantire l’efficacia di norme riferibili al settore tecnologico.
Quale sarà la sorte dell’arte con l’avvento dell’automazione delle opere creative?
Se si parte dall’assunto che l’arte costituisce un veicolo di manifestazione delle emozioni di chi realizza le proprie opere tramite forma espressive di empatia creativa che, nella sua opinabile bellezza e con tutte le imperfezioni artistiche, esprime una reale sensibilità riferibile all’essere umano, può un algoritmo rappresentare vere emozioni, oppure si sta determinando una progressiva mercificazione delle opere dell’ingegno, destinate a circolare come meri codici a barre, alla stregua di prodotti commerciali privi di qualsivoglia carica emozionale?
L’avvento dell’automazione sta pertanto cambiando il concetto stesso di arte trasformandolo in una nuova branca del marketing digitale all’insegna di una sorta di “neo cybercapitalismo” che rappresenta il lato oscuro della tecnologia?
Forse in tutto questo, il diritto, piuttosto che rincorrere pedissequamente l’evoluzione digitale – dovrebbe meglio ridefinire, sulla base di un’inedita cornice regolatoria, i tratti di una nuova visione fondata sulla centralità dell’uomo nello sviluppo tecnologico, prima che sia troppo tardi.
Federica Giaquinta
1La convenzione di Berna stabilisce per prima la reciprocità della tutela del copyright tra gli Stati firmatari, nell’ottica di assicurare una convergenza uniforme del relativo regime giuridico su scala transnazionale: ogni contraente deve riconoscere come titolare del diritto d’autore anche il lavoro creato da cittadini degli altri Stati che aderiscono ad essa. La tutela è automatica, nessuna registrazione è richiesta e neppure è necessario apporre un avviso di copyright.La ratifica della revisione di Parigi del 23 luglio 1971 e il suo recepimento nel diritto italiano è avvenuto con legge 20 giugno 1978 n. 399. La successiva revisione del 28 settembre 1979 apporta modifiche minori relative alla gestione della WIPO. Benché tale modifica non sia stata ratificata dall’Italiaè entrata in vigore automaticamente in tutti i Paesi dell’Unione il 19 novembre 1984 in ragione del raggiungimento della quota richiesta (due terzi dei Paesi aderenti).
2“In the case of literaly, dramatic, music or artistic work whichis computer-generated, the authorshall be taken to be the person by whom the arrangementsnecessary for the creation of the work are undertaken”
3“The work generated by computer in circumstancessuchthatthereis no human author of the work”.
4Considerando. 55: “Lo sviluppo tecnologico agevolerà la distribuzione delle opere, in particolare in rete, il che comporterà la necessità per i titolari dei diritti di identificare meglio l’opera o i materiali protetti, l’autore dell’opera o qualunque altro titolare di diritti e di fornire informazioni sui termini e sulle condizioni di utilizzo dell’opera o di altro materiale protetto, così da rendere più facile la gestione dei diritti ad essi connessi. Si dovrebbero incoraggiare i titolari, quando mettono in rete opere o altri materiali protetti, a usare contrassegni indicanti, tra l’altro, la loro autorizzazione, oltre alle informazioni di cui sopra.”.