Più cavi e meno tavole rotonde: ce lo chiedono gli italiani (soprattutto gli ultimi)
Sabato mattina, non senza preoccupazione, ho letto su Domani l’editoriale di Nadia Urbinati sulle nuove povertà. Nell’articolo si cita il rapporto del Censis, nel quale risulta che le famiglie che vivono in povertà assoluta sono raddoppiate rispetto a 10 anni fa, con un incremento del 104,8%.
La Urbinati, in maniera condivisibile, evidenzia come questa povertà sia influenzata anche dalla carenza di risorse digitali e dall’impossibilità, per molti cittadini italiani, di accedere alla rete internet o di usufruire di risorse che consentano una fruizione piena e completa.
Nella mia esperienza di docente universitario, ho registrato spesso, insegnando in università meridionale, quanto sia difficoltosa la connessione in molte aree geografiche (soprattutto interne, sebbene, a voler essere inclementi, ho rilevato le medesime difficoltà per i miei studenti cilentani, che vivono in una fascia costiera, con una altissima affluenza turistica nella stagione estiva).
Il PNRR, giustamente, batte molto sull’innovazione digitale: tuttavia, a mio modesto avviso, in questo momento storico l’emergenza reale riguarda il piano infrastrutturale. Possiamo spingere sullo SPID, sull’accesso digitale alle risorse informatiche, sulla necessità che tali processi siano condivisi, anche in maniera coattiva per mezzo di imposizioni legislative, dalla più ampia parte della cittadinanza. Tuttavia, queste riforme hanno un presupposto necessario, ossia la volontà di incidere sulla necessità di migliorare le infrastrutture di rete, sulla necessità, quindi, di assicurare le medesime risorse a tutti i cittadini italiani, a prescindere dal fatto che abitino in una grande città o in un’area montuosa. Diversamente, la retorica sulla digitalizzazione, così come sul south working, rischia di rimanere appunto tale, retorica vuota e, sia consentito il termine, vagamente propagandistica.
Gli investimenti in infrastrutture, in un’era di rapidi e repentini cambiamenti delle maggioranze politiche, rischiano, appunto in termini politici, di pagare poco. I lavori durano anni, difficile immaginare quale fascia tricolore sarà chiamata a tagliare il nastro e a brindare all’ultimazione del progetto, ascrivendosene il merito.
Tuttavia, se è vero che il PNRR sia un nuovo piano Marshall, un’occasione unica (e forse ultima), per ridurre il divario con i Paesi europei più avanzati, allora occorre investire anche, anzi soprattutto, su attività che, se lette nell’ottica dei sondaggi di opinione, rischiano di essere inappaganti e di non restituire un ritorno di apparente efficienza e, quindi, di voti nel breve periodo.
Solo comprendendo l’importanza del momento storico, l’indifferibilità di scelte anche impopolari (giacché possono comportare, appunto nel breve periodo, disagi per la cittadinanza) possiamo ridurre il divario esistente e consentire, sul serio, l’accesso alla Rete.
La nostra Costituzione non si limita a dettare principi, ma impone allo Stato di assumere il compito di attuare tali principi. Quando l’art. 3 discorre di uguaglianza, al secondo comma non dimentica di assegnare alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Antonio Gramsci, nei Quaderni dal carcere, dice che in Italia le questioni politiche si trasformano spesso questioni culturali. In altri termini, banalizzando il pensiero gramsciano, si discute molto e si risolvono pochi problemi.
Insomma, meno tavole rotonde e più cavi: ce lo chiedono gli italiani, soprattutto gli ultimi (loro malgrado) della classe.
Giovanni Maria Riccio