Polonia vs. Parlamento UE
Direttiva 790/2019 sul diritto d’autore nel mercato unico digitale: braccio di ferro tra Polonia ed il Parlamento europeo.
Background.
Con ricorso proposto il 24 maggio 2019, la Repubblica di Polonia ha denunciato la lesione della libertà di espressione, presuntivamente operata dall’art. 17 della Direttiva 790/2019. A difendere la bontà della norma, all’angolo opposto di questo virtuale ring lussemburghese, il Parlamento europeo ed Consiglio dell’Unione europea.
Il 15 luglio 2021, l’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard Øe ha depositato le proprie conclusioni perorando la posizione dei Resistenti, pur avallando la presenza di alcuni profili di criticità in fase interpretativa ed applicativa della disposizione.
Come è noto, la Direttiva 790/2019 si pone quale evoluzione di taluni aspetti regolamentati dalla Direttiva 31/2000 (“sul commercio elettronico”) e dalla successiva Direttiva 29/2001 (“sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”). Questo trittico di disposizioni non ha mai introdotto un obbligo di sorveglianza preventiva in capo ai prestatori; tuttavia, questa affermazione potrebbe non essere più valida, alla luce delle recenti interpretazioni della Direttiva 790/2019.
Il thema decidendum.
A tenore del comma 4, lett. c) dell’art. 17 della Direttiva 790/2019, il prestatore non è responsabile a patto di “aver agito tempestivamente […] per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro conformemente alla lettera b)”. Per sottrarsi al regime di responsabilità, i prestatori potrebbero dover effettuare un filtraggio preventivo dei contenuti sottoposti ad upload, operando una “barriera all’ingresso”. Tale barriera è equiparata, dalla Polonia, alla censura.
In questo scenario, secondo la Polonia, l’attività dei prestatori pregiudicherebbe l’essenza del diritto alla libertà di espressione e di informazione, non soddisfacendo i requisiti di proporzionalità e di necessità di limitazioni di tali diritti.
La posizione dell’Avvocato Generale.
Le conclusioni depositate da Saugmandsgaard Øe riassumono preoccupazioni condivisibili e, di fatto, condivise anche da chi scrive. Egli ritiene che sia stato implicitamente imposto un obbligo di sorveglianza mediante l’introduzione di un meccanismo di responsabilità/esenzione. Tale disposizione penalizza gli operatori che non abbiano attuato “massimi sforzi” per prevenire la messa in rete di contenuti che riproducono le opere e gli altri materiali protetti identificati dai titolari dei diritti.
Al paragrafo 78 delle proprie conclusioni, l’Avvocato Generale insiste: “[…] Questi stessi prestatori sono quindi indotti a procedere al filtraggio e al blocco preventivi dei contenuti in questione.”
A suffragare questa teoria sono anche le linee guida pubblicate nel giugno 2021, nella parte in cui si legge: “In particolare, i prestatori di servizi dovrebbero prestare particolare attenzione e diligenza nell’adempimento del loro obbligo di adoperarsi al meglio prima di caricare contenuti che potrebbero causare un danno economico significativo ai titolari dei diritti”. Tali contenuti sarebbero, ad esempio, le anteprime di musica o film o momenti salienti di trasmissioni recenti di eventi sportivi, nonché a tutti i contenuti “sensibili al fattore tempo”.
I meccanismi di controllo preventivo o successivo ledono la libertà di espressione?
Secondo il Consiglio ed il Parlamento europeo, i prestatori potrebbero regolamentare l’accesso ed i flussi dei contenuti user-generated tramite autoregolamentazione e norme delle community. Tale riferimento, oltre che anacronistico, è altresì formalmente e giuridicamente inconsistente se si considera che la necessità di tale regolamentazione è implicitamente imposta dalla necessità di assecondare le previsioni della Direttiva 790/2019.
L’Avvocato Generale ben individua il campo di applicazione della norma ed al paragrafo 84 delle sue conclusioni osserva: “l’«ingerenza» nella libertà di espressione degli utenti è certamente imputabile al legislatore dell’Unione. Questi ne è, infatti, l’istigatore. [….]”.
Contraddittorio e precedenti.
Secondo la Repubblica di Polonia, rimettendo ai prestatori il diritto (e l’onere) di filtrare i contenuti all’ingresso, si impedirebbe ogni dibattito pubblico sul contenuto, privando in tal modo la libertà di espressione della sua funzione stessa di vettore del pluralismo. Del resto, con la sentenza L’Oréal e a. C324/09, fu confermata l’assenza di obbligo generale di sorveglianza e nel caso Scarlet Extended si è persino affermata l’inefficacia dell’ingiunzione che obblighi il prestatore a predisporre un sistema di filtraggio applicabile a «tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi» e dunque «indistintamente a tutta la sua clientela». Più di recente, con la sentenza Glawischnig-Piesczek, la Corte ha ritenuto che il gestore di un social network non ha l’obbligo di sorvegliare la totalità delle informazioni caricate su tale rete. Al contrario, tale obbligo è «specifico», poiché si trattava di ricercare e bloccare un’informazione diffamatoria «precisa».
Come si applica il principio di proporzionalità?
Secondo una giurisprudenza costante della Corte, una limitazione è considerata «proporzionata», allorquando la limitazione all’esercizio di un diritto fondamentale causati non sono sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti ed effettuata «nel rispetto della necessaria conciliazione tra i requisiti connessi alla tutela di questi diversi diritti fondamentali» e di un «giusto equilibrio tra di essi».
Secondo l’Avvocato Generale non sussiste alcuna violazione della libertà di espressione, giacché i prestatori sono tenuti a rilevare e bloccare soltanto i contenuti manifestamente illeciti, ovvero che siano «identici» e «equivalenti» a tali materiali.
Sarebbe, pertanto, giustificato il controllo preventivo solo in questi casi, incombendo agli utenti interessati di dimostrare la liceità del contenuto nell’ambito del meccanismo di reclamo.
Al contrario, ogniqualvolta il contenuto non sia manifestamente illecito, esso non potrà in alcun modo essere oggetto di controllo preventivo.
Antonio Allocca