Newsletter Istituto per le Politiche dell’Innovazione – 21 luglio 2019
Nella trappola del porno centinaia di vite rovinate
di
Guido Scorza
Rimbalza dalle aule di giustizia di San Diego una vicenda, probabilmente come tante che si consumano a casa nostra, ma che merita di essere raccontata a mo’ di monito per le migliaia di ragazze che rischiano di trovarsi a vivere storie analoghe e di non sapere come uscirne.
La storia è tanto semplice quanto devastante per le sue protagoniste, tutte ragazze tra i 18 e i 22 anni.
C’è un produttore di film porno amatoriali, un sistema messo a punto con attenzione maniacale – fino ad arrivare alla costituzione di una squadra di false testimoni pagate per rassicurare le vittime del raggiro – per convincere quante più ragazze possibile, purché tra i 18 e i 22 anni, a girare dei video porno amatoriali con la rassicurazione che non sarebbero mai andati online ma sarebbero stati destinati, esclusivamente, a piccoli mercati di collezionisti, solo in dvd e solo in Paesi lontani rispetto agli USA: Australia, Nuova Zelanda e qualcosina in Europa.
C’è un annuncio pubblicato su Craiglist – uno dei siti di annunci più popolare al mondo – che con la scusa di reclutare delle modelle di abbigliamento consente alla fabbrica del porno amatoriale di raccogliere migliaia di indirizzi mail e numeri di telefono di ragazze alle quali raccontare che spogliandosi un po’ di più, si poteva guadagnare tanto tanto di più.
E ci sono centinaia di ragazze – 22 quelle che oggi si sono decise a trascinare il produttore davanti ai Giudici ma oltre quattrocento quelle cadute nella sua rete – che hanno accettato l’offerta, allettate dall’opportunità di facili guadagni, peraltro raramente percepiti per davvero, e rassicurate dalle false testimoni che confermavano loro che nessuno nella loro cerchia di parenti, amici, fidanzati e conoscenti avrebbe mai scoperto la cosa.
E c’è poi l’epilogo, più o meno drammatico per tutte, i video porno che finiscono in rete, vengono pubblicati su PornoHub, una delle isole libertine più frequentate del web, le ragazze che vengono riconosciute a scuola, in famiglia, tra gli amici, quelle che perdono il lavoro, quelle che devono lasciare il liceo, quelle che devono avventurarsi nell’impresa impossibile di scomparire dal web.
PornoHub naturalmente si difende dicendo che si limita a offrire hosting a chi come la società produttrice dei video in questione pubblica i filmati ma che, naturalmente, è pronto a rimuovere tutti i contenuti che gli vengono segnalati come online contro la volontà delle protagoniste e la società produttrice pronta a scommettere – con il rischio, peraltro, che vinca la scommessa – di non aver mai garantito che quei video non sarebbero finiti online e, in molti casi, con un contratto in mano, firmato in chissà quali condizioni e, probabilmente, mai letto, che potrebbe darle ragione.
Le vite delle protagoniste dei video in questione frattanto sono in frantumi e con i loro video alla deriva nel mare del web, rimetterne insieme i pezzi non sarà facile perché, sfortunatamente, ogni volta che penseranno di esserci riuscite, da qualche parte, uno di quei video, potrebbe essere sbattuto dalle onde del mare su una qualche spiaggia frequentata da qualcuno che conoscono.
Certo questo è il racconto dei legali delle 22 ragazze davanti al Giudice di San Diego e potrebbe non essere tutta la verità.
Come qualcuno sospetta le centinaia di ragazze in questione più che truffate potrebbero, semplicemente, essere pentite.
Per la legge, naturalmente, sarebbe diverso ma per le loro vite no e, quindi, tutto sommato che abbiano accettato di fare quei video più o meno consapevoli delle conseguenze – ma difficilmente completamente consapevoli – o che siano state prese in giro come oggi sostengono, cambia poco. Nella sostanza, fosse anche soltanto per la loro età, sono e restano vittime se non del produttore in questione di una società che non ha ancora darwinianamente conquistato l’abilità a confrontarsi con l’ecosistema tecnologico nel quale viviamo.
Raccontiamola questa storia, facciamola girare, senza falsi pudori solo perché parla di sesso e pornografia perché, forse, spingerà qualcuno a riflettere un istante di più prima di accettare di consegnare il proprio volto e la propria vita nelle mani sbagliate o, se, per questo è troppo tardi, a denunciare i suoi aguzzini perché sono tanti ma non sono infiniti e raccontare chi sono, come agiscono, come carpiscono la fiducia altrui può servire a “rovinar loro la piazza”.
Sistema di sorveglianza Palantir
Palantir, una società di sorveglianza e data mining, è nota per essere al servizio dell’ufficio Immigrazione e dogana, nonché di altre agenzie statali e federali e società come JP Morgan e Airbus. La società ha creato il sistema Investigative Case Management, che cataloga i migranti negli Stati Uniti e aiuta a costruire documenti che possano essere utilizzati contro i migranti stessi in tribunale.
Ma la portata dell’influenza di Palantir in California è significativamente maggiore rispetto a quanto dovrebbe. I registri di pagamento indicano che tra gennaio 2012 e marzo 2017, circa trecento città, che complessivamente ospitano circa 7,9 milioni di persone, hanno avuto accesso al servizio di Gotham di Palantir attraverso il Northern Intelligence Center (NCRIC) della California settentrionale, gestito dal Department of Homeland Security .
Così facendo, 300 dipartimenti di polizia potevano richiedere dati a Palantir, e un agente NCRIC avrebbe recuperato questi dati e li avrebbe consegnati alla polizia locale.
Come mostrato dalle guide all’uso di Palantir ottenute da Motherboard, Palantir aggrega tutte le informazioni disponibili su una persona. Ciò include e-mail, numeri di telefono, indirizzi attuali e precedenti, numeri di sicurezza sociale, rapporti commerciali, targhe e cronologia di viaggio acquisite dalle telecamere di targa. Lo strumento mappa anche i “possibili parenti” di quella persona e i “possibili associati”, o i loro amici e familiari.
The Great Hack – Privacy Violata
Quello che è stato più volte definito “lo scandalo del secolo” sta per arrivare sui nostri schermi sotto forma di documentario, come riportato da Slash Film.
Diretto a quattro mani da Karim Amer e Jehane Noujaim (The Square, Control Room, Startup.com), The Great Hack ci offre un dato significativo già in queste poche sequenze: i dati hanno superato il valore del petrolio. Parliamo perciò della risorsa, dell’asset, più prezioso al mondo, al punto da aver già messo in discussione il corso politico, la cui guerra oramai si combatte a questo livello qui.
Ampio spazio è stato dedicato allo scandalo di Cambridge Analytica che ha coinvolto il social network Facebook e che ha “apparentemente” indirizzato le elezioni presidenziali americane del 2016 e il referendum britannico sulla Brexit.
Il documentario segue la vicenda attraverso gli occhi di due personaggi principali: David Carroll, un professore della Parsons School of Design di New York che citò in giudizio Cambridge Analytica nel tentativo di scoprire quali sue informazioni personali fossero trapelate, e Brittany Kaiser, una vecchia impiegata di Cambridge Analytica che ha aiutato a far venire a galla lo scandalo per il quale Facebook sembrerebbe dover pagare una multa che va dai 3 ai 5 miliardi di dollari.
The Great Hack, il documentario in uscita su Netflix il 24 luglio prossimo, affonda le radici nella profilazione delle persone attraverso la raccolta di dati in tempo reale.
Quello che è stato più volte definito “lo scandalo del secolo” sta per arrivare sui nostri schermi sotto forma di documentario, come riportato da Slash Film.
Diretto a quattro mani da Karim Amer e Jehane Noujaim (The Square, Control Room, Startup.com), The Great Hack ci offre un dato significativo già in queste poche sequenze: i dati hanno superato il valore del petrolio. Parliamo perciò della risorsa, dell’asset, più prezioso al mondo, al punto da aver già messo in discussione il corso politico, la cui guerra oramai si combatte a questo livello qui.
Ampio spazio è stato dedicato allo scandalo di Cambridge Analytica che ha coinvolto il social network Facebook e che ha “apparentemente” indirizzato le elezioni presidenziali americane del 2016 e il referendum britannico sulla Brexit.
Il documentario segue la vicenda attraverso gli occhi di due personaggi principali: David Carroll, un professore della Parsons School of Design di New York che citò in giudizio Cambridge Analytica nel tentativo di scoprire quali sue informazioni personali fossero trapelate, e Brittany Kaiser, una vecchia impiegata di Cambridge Analytica che ha aiutato a far venire a galla lo scandalo per il quale Facebook sembrerebbe dover pagare una multa che va dai 3 ai 5 miliardi di dollari.